Bi-Test, lo screening per le anomalie cromosomiche fetali
Il Bi-test è un esame di screening non invasivo che si esegue nel primo trimestre di gravidanza e permette di calcolare la probabilità di rischio di alcune anomalie cromosomiche del feto, come la sindrome di Down.
Cosa è un test di screening?
I test di screening eseguiti in gravidanza sono esami non invasivi (quindi non rischiosi per la gravidanza), che stimano il rischio di avere un figlio affetto da una anomalia cromosomica e consentono di stimare la probabilità che nel corso della gravidanza possa verificarsi una patologia. I test di screening indagano essenzialmente la trisomia 21 (sindrome di Down) la trisomia 18 e la trisomia 13, che sono le anomalie cromosomiche più frequenti (circa il 70%). Se il test di screening individua un rischio aumentato per anomalie cromosomiche, tale rischio andrà confermato mediante un esame diagnostico invasivo (villocentesi o amniocentesi).
Screening combinato Bi-Test
È un metodo molto efficace per lo screening delle più frequenti anomalie cromosomiche (trisomia 21, 18 e 13), che si avvale di una particolare valutazione ecografica, combinata a specifici esami di laboratorio, consentendo l’individuazione di circa il 98% di feti affetti da tali cromosomopatie.
Si parte dall’età materna per definire il rischio di base il quale viene successivamente modificato e personalizzato per ciascuna paziente in base ai risultati di un’ecografia (eseguita fra la 11° e la 13°+6 settimana) e di un prelievo di sangue materno. Numerosi studi hanno dimostrato come la combinazione di una serie di fattori (materni, ecografia e biochimici), aumenti notevolmente la Detection Rate delle anomalie cromosomiche e delle altre patologie studiate con lo screening del primo trimestre, rispetto alla sola età materna. Nel calcolo del rischio è necessario includere anche una serie di caratteristiche materne: peso, altezza, etnia, abitudine al fumo, misurazione della pressione arteriosa media, presenza di particolari patologie materne ed una accurata anamnesi sulle eventuali gravidanze precedenti.
La parte ecografica dello screening consiste nell’esecuzione di una serie di misurazioni: lunghezza del feto (CRL), frequenza cardiaca fetale, spessore della translucenza nucale (NT), valutazione della presenza dell’osso nasale. Inoltre, è necessaria la valutazione di alcune anomalie funzionali: rigurgito a livello della valvola cardiaca atrio-ventricolare destra (tricuspide) e flusso retrogrado attraverso una struttura venosa presente solo nella vita intrauterina (dotto venoso). Grazie all’esame ecografico, inoltre, è possibile studiare tutte le eventuali alterazioni morfologiche individuabili nel primo trimestre, che possono essere mandatarie di anomalie cromosomiche o genetiche del feto.
Translucenza nucale
La translucenza nucale (NT) è una raccolta liquida retronucale visibile mediante ecografia eseguita dietro al collo fetale, ed è presente in tutti i feti fra la 11° e la 14° settimana di gravidanza. L’incremento dello spessore della translucenza nucale può portare ad un aumentato del rischio di anomalie cromosomiche, sindromi genetiche, malformazioni fetali e morte endouterina del feto. Pertanto, qualora si riscontri una translucenza nucale aumentata, saranno pianificati una serie di ulteriori accertamenti per escludere tali patologie.
Esame del sangue materno
Nelle gravidanze con feto affetto da anomalia cromosomica è possibile riscontrare variazioni dei valori di alcune sostanze prodotte dalla placenta, che possono essere misurate nel sangue materno avvalendosi dell’uso di strumenti particolari (come il Kriptor). In particolare, Free beta HCG e PAPP-A sono gli analisti utilizzati per calcolare il rischio di anomalie cromosomiche in combinazione con l’ecografia. I valori di tali analisi variano in base ad alcune caratteristiche materne, al numero dei feti ed in base al metodo di concepimento (naturale o fecondazione in vitro). Questi fattori vengono presi in considerazione per la valutazione del rischio. Altre sostanze che vengono dosate nel sangue materno sono il PLGF (fattore di crescita placentare), e l’alfafetoproteina utili rispettivamente nel calcolo del rischio della preeclampsia e del ritardo di crescita intrauterino e del parto pretermine.
Calcolo del rischio
I dati provenienti dalle caratteristiche materne, dalla valutazione ecografica e dall’esame del sangue materno vengono inseriti in un programma informatico che, combinando tali fattori, consente il calcolo del rischio di ogni gravidanza.
Il programma per il calcolo del rischio viene fornito dalla Fetale Medicine Foundation (FMF) di Londra a medici specialisti in medicina materno-fetale. I medici, dopo un training teorico e pratico e dopo aver superato un esame, vengono accreditati all’utilizzo del programma. Per garantire la qualità di esecuzione del test, inoltre, vengono sottoposti ad una rivalutazione annuale del test combinato.
Screening delle sindromi ostetriche (preeclampsia, ritardo di crescita intrauterino e parto pretermine).
Il test combinato o Bi test, oltre a consentire la valutazione del rischio delle principali cromosomopatie e ad escludere anomalie morfologiche identificabili nel primo trimestre di gravidanza, consente di identificare le pazienti che sono a rischio di sviluppare gravi patologie che si possono manifestare durante la gravidanza. In tal modo il medico curante ha la possibilità di impostare precocemente un terapia che consenta di ridurre notevolmente il rischio e di controllare in maniera più assidua e mirata la paziente.
La preeclampsia
La preeclampsia è caratterizzata dalla comparsa di pressione arteriosa alta e dalla presenza di proteine nelle urine nella seconda metà della gravidanza e si manifesta nel 2% delle gravidanze, con gravi rischi per la madre e per il feto, soprattutto nei casi di insorgenza precoce (prima della 32° settimana). Il meccanismo con cui si sviluppa la preeclampsia è basato su un anomalo sviluppo placentare, che può essere predetto dalla combinazione dei seguenti fattori:
- età, etnia, peso, precedente preeclampsia
- misurazione della pressione arteriosa materna
- valutazione del flusso di sangue attraverso le arterie uterine, che riforniscono l’utero e la placenta
- misurazione dei fattori placentari nel sangue materno (PAPP-A e PLGF nel primo trimestre, PLGF e sFlt-1 nel secondo e terzo trimestre)
La combinazione di tali fattori permette di individuare oltre il 90% di pazienti che svilupperanno preeclampsia e/o ritardo di crescita intrauterino, consentendo quindi una corretta gestione dei casi a rischio, l’impostazione di una adeguata terapia ed il timing del parto.
La misurazione della lunghezza del canale cervicale, combinata con le caratteristiche materne e con il dosaggio dell’alfafetoproteina nel sangue materno, consente di individuare le pazienti a rischio di parto pretermine, e di impostare quindi anche in questo caso una terapia preventiva
Per maggiori informazioni chiama Paideia al numero 06.83.80.3